RESTO A CASA
Le restrizioni sulla libertà personale sono dure da digerire soprattutto se a causarle è un nemico invisibile. Se non riesci a riconoscere la causa del tuo disagio te lo amplifica. Immagino i primi uomini alle prese con eruzioni vulcaniche e terremoti. Si affidavano a riti più o meno complessi atti a mitigare la paura del presente e del futuro generati da fenomeni naturali inspiegabili. Oggi, ai tempi del corona, i riti che tutti noi pratichiamo sono il distanziamento, la mascherina, i guanti e la ricerca di pozioni magiche in grado di difenderci dal male invisibile. I nostri curanderos sono gli esperti virologi attorniati dai loro prelati e vestali. Il rituale collettivo, la messa contemporanea, c’è alla stessa ora e si apre con la stessa litania, ovvero, la conta degli degli unti e dei salvati e con la frase salvifica “restate a casa”. Ed io resto a casa.Sono fortunato perché casa è campagna. Casa è anche lavoro. Il lavoro è la serra. La serra è un tunnel che, per assurdo, mi ricorda la barella a super contenimento biologico. Sono fortunato perché la serra non serve a proteggere gli altri da me. La serra mi protegge dalla paura del nemico invisibile. Sulle superfici interne della serra ritrovo il mio mondo immaginario. Spazio e tempo si dilatano all’infinito. La serra diventa la mia caverna di Platone e le sue superfici sono le pareti di Lascaux. Sono fortunato ma non posso esimermi dall’avere paura. Quella che occupa molto spazio del mio pensiero è la paura di non poter vedere quest’estate il mio mare. Ricerco avidamente il suo ricordo. Lo rievoco scavando nelle mie memorie emotive proiettandole sulle macchie, sulle concrezioni e su tutto ciò che trovo in serra. Ecco, dunque, la mia catarsi dalle paure dell’ignoto. Mi sento come quegli uomini paleolitici che provavano ad evocare la buona sorte per la loro caccia sulle pareti calcaree delle loro caverne